Le scuole di formazione aziendale sono un valido aiuto contro la difficoltà di reperire risorse IT, ma non sono la panacea: occorre puntare sulle competenze specialistiche e personalizzare i corsi in base alle richieste del mondo del lavoro. Anche il CIO ha un compito importante: accompagnare la digitalizzazione con un cambio di mentalità agendo con metodo quasi “socratico”

L’Italia potrebbe arrivare impreparata all’appuntamento dell’Agenda 2030 dell’Ue a causa della carenza di competenze informatiche: l’allarme che si legge tra le righe del primo Rapporto sullo Stato del Decennio digitale, pubblicato dalla Commissione europea (e che sostituisce il precedente indice Desi) conferma i timori di molte aziende di fronte alla difficoltà di reperire i talenti IT di cui hanno bisogno per la loro crescita.
I nostri progressi sono “lenti” e contribuiscono “modestamente” al traguardo del Decennio, si legge nello studio dell’Ue. “Solo il 46% della popolazione possiede competenze digitali di base” e il numero di laureati in tecnologie informatiche e della comunicazione (ICT) è “significativamente al di sotto delle ambizioni”, pari all’1,5% del totale dei laureati contro il 4,6% della media europea, per cui l’Italia “non è in grado di soddisfare la domanda delle imprese di professionisti qualificati”. Inoltre, da noi si registra un 3,9% di specialisti ICT sul totale di professionisti, contro il 4,6% Ue. Un altro gap evidenziato da Bruxelles riguarda la percentuale di aziende che offrono formazione ai propri dipendenti: è il 19% in Italia, contro il 22% della media Ue.
Per aiutare a colmare il divario, molte aziende dell’ICT e di settori a forte tasso di digitalizzazione hanno creato le loro Academy, ovvero scuole per la formazione delle competenze di cui c’è maggiore richiesta. Le stime del 10° Rapporto CSR dell’Osservatorio Socialis (dicembre 2022) parlano di oltre 120 Academy aziendali in Italia.
“Sono scuole di formazione di eccellenza, anche se poche le realtà propongono percorsi capaci di soddisfare pienamente le esigenze di un mondo del lavoro che dichiara di non riuscire a soddisfare oltre il 40% delle ricerche di personale”, è il commento di Lara Miglietta, Life and Business Coach e Psicologa del lavoro. “Occorre favorire la nascita di scuole di specializzazione che possano preparare le persone in modo mirato. Questo faciliterebbe l’inserimento sia dei giovani sia di figure senior inoccupate per competenze obsolete, ma che sarebbero capaci di offrire un contributo di valore acquisendo nuove competenze”.
Le Corporate Academy contro lo skill gap dell’IT
Particolarmente attive nella creazione delle scuole di formazione sono “le software house e le aziende del segmento medium-plus/large: in genere, per capacità d’investimento e posizionamento sul mercato, sono le prime ad innovare e di conseguenza a richiedere figure qualificate”, osserva Fabrizio Deidda, National Academy Service Manager di The Adecco Group.
Tra i nomi della tecnologia c’è, per esempio, Dedagroup (polo di aggregazione delle imprese italiane del software e delle soluzioni as-a-service), che ha dato vita alla Dedagroup Digital Academy, scuola di impresa rivolta ai giovani e composta da vari moduli tematici specialistici, tra cui banking software, web commerce, industry e dati, e, da questo autunno, trasformazione digitale nella sanità.
Novità di questo autunno è anche la Elmec Academy, la Academy Digitale di Elmec Informatica, un portale di e-learning (gratuito in questa fase di lancio) con cui le persone di Elmec mettono a disposizione di altre organizzazioni le loro competenze su temi come innovazione tecnologica, cybersecurity, manifattura additiva e stampa 3D.
La IT& Management Academy di Engineering, invece, èdedicata all’attività di upskilling e reskilling delle risorse interne, con specifici percorsi di formazione progettati per i giovani e per la crescita professionale delle donne.
La Aruba Academy del Gruppo Aruba è sia per lo sviluppo delle competenze dei collaboratori interni all’azienda, sia per la certificazione specialistica nelle materie STEM (Scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) all’esterno di Aruba. La società instaura delle collaborazioni con Università ad indirizzo informatico e istituti tecnici industriali per la formazione di competenze digitali integrative.
Nel caso della Academy di Convergenze, operatore di tecnologia attivo nei settori Telecomunicazioni ed Energia green, la collaborazione è con il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Questa scuola mira a portare alla luce giovani talenti IT del territorio inserendoli in un percorso di Challenge Based Learning (CBL, apprendimento basato sulle sfide), dove gli studenti sono stimolati a progettare soluzioni innovative, mettendo alla prova le loro competenza hard e soft.
Una formazione “personalizzata” che integra quella universitaria
Ad attivare le Academy sono anche “i grandi gruppi della consulenza”, evidenzia Deidda di Adecco, “che hanno, per definizione di ruolo, responsabilità di implementazione e sviluppo di tecnologie presso le aziende clienti”. Anche le società delle risorse umane ne hanno istituite, incluso The Adecco Group, che ha chiuso il biennio 2022-2023 con circa 52 Tech Academy in ambito IT cui si aggiungono 40 Full Time Academy di Modis Consulting (ora Akkodis).
E, naturalmente, ci sono le grandi aziende dei settori non-tech, ma con una componente di digitalizzazione sempre più forte. Pensiamo, per esempio, alla Digital Factory del progetto Generation4Zurich, prima Academy gratuita per diventare data analyst, quest’anno alla seconda edizione, nata dalla collaborazione tra Zurich Italia e Generation Italy (fondazione no-profit fondata dalla società internazionale di consulenza manageriale McKinsey & Company). Oppure al corso che Wind Tre ha lanciato, in collaborazione con il Career Service del Politecnico di Milano, per specializzare trenta studenti, selezionati nei corsi di laurea magistrale in Ingegneria del Politecnico, sulle competenze gestionali e trasversali a supporto delle applicazioni del 5G, il nuovo standard per la connettività mobile.
Secondo Deidda, però, non si tratta tanto di integrare la formazione universitaria quanto di “personalizzarla”: “Le Academy in area IT muovono dalle competenze che il sistema universitario italiano trasferisce giornalmente agli studenti e ciò fa sì che i neolaureati abbiamo già un discreto know-how acquisito”, evidenzia il manager. “Qual è dunque la mission delle Academy? Aggiornare e adattare questo know-how alle esigenze operative delle aziende. Questa personalizzazione, che proponiamo con le Academy di The Adecco Group, è allo stesso tempo un riassetto e un aggiornamento pratico delle competenze, che consente ai partecipanti di essere immediatamente responsivi alle esigenze delle aziende e alle aziende stesse di ridurre il periodo di apprendimento e le inefficienze dovute all’inesperienza”, conclude Deidda.
Il compito del CIO: diventare un coach “filosofo”
Ma c’è un’altra competenza che occorre formare, sia nei giovani alla ricerca della prima occupazione sia nelle figure inserite nel contesto lavorativo: il cambiamento. La resistenza al nuovo da parte delle persone di qualunque età è il primo ostacolo alla digitalizzazione e allarga il digital skill gap, perché le competenze IT di base possono appartenere a tutti, purché si accetti di abbandonare i modi di fare del passato.
“Qualsiasi cambiamento deve partire da una libera volontà della persona”, sottolinea Lara Miglietta. “La persona deve diventare consapevoleche il cambiamento è necessario e, per impegnarsi, deve trovare la motivazione. Il cervello è un organo pigro, tende a risparmiare energia e il cambiamento ne richiede tanta. La nostra mente si attiverà solo se vedrà un beneficio concreto, come un lavoro migliore, un livello più alto di qualità della vita o la realizzazione di proprie aspirazioni e ambizioni”.
Il compito del CIO è precisamente quello di sviluppare nei team la consapevolezza e la motivazione. “Sono i due fattori fondamentali per il cambiamento”, afferma Miglietta. “Il coaching, infatti, lavora sulla domanda con un metodo maieutico, quasi socratico”.
Questo significa che il CIO dovrebbe accompagnare le persone a trovare dentro di sé la volontà o, persino, la richiesta di un cambiamento. Deve anche comunicare la mission facendo sentire ogni persona importante nel suo ruolo. “Il CIO deve curare la relazione con le persone, anche solo con un saluto o un breve incontro”, dichiara Miglietta. “Le persone non vogliono sentirsi un numero e il CIO deve essere bravo a superare l’organizzazione piramidale facendosi sentire emotivamente vicino”.
Questo vale soprattutto nella nostra epoca di lavoro remoto, che dà più flessibilità e spazi privati, ma può creare ostacoli e distanze nella comunicazione tra le persone e, di conseguenza, nel cambiamento mentale e digitale.