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Patrizia Licata
Scrittore Collaboratore

Gaia-X, il cloud europeo e la nuova idea di federazione: quanto valgono i progetti sulla sovranità digitale?

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15 lug 202520 minuti

Nell’attuale contesto geopolitico, con un’America sempre più aggressiva e le Big Tech sempre più potenti, le iniziative della Commissione europea per un cloud sovrano, ovvero non soggetto a leggi extraterritoriali e rispettoso dei dati, sembrano sempre più necessarie. Ma sono efficaci? Esiste un’offerta valida per imprese e CIO? Abbiamo fatto il punto sul progetto dell’UE Gaia-X e sulle nuove proposte di cloud federato che arrivano dalle imprese italiane ed europee del cloud.

Italy EU flag government
Credito: Shutterstock / Arsenie Krasnevsky

Acquistare servizi cloud da fornitori diversi dai “soliti tre” è possibile e conveniente per le imprese in Italia e in Europa? La domanda per i CIO ha a che fare soprattutto con i costi del servizio e l’affidabilità dell’offerta, ma per i governi nazionali e la Commissione Europea è anche questione di sovranità digitale. La questione è divenuta più pressante alla luce delle nuove preoccupazioni geopolitiche, ma, già prima della rottura dei rapporti con la Russia e dell’arrivo dell’amministrazione Trump negli Stati Uniti, la sovranità digitale era al centro dell’agenda dell’UE per motivi di competitività tecnologica ed economica.

Le iniziative lanciate da Bruxelles per costruire un’infrastruttura cloud autonoma, regolata da norme europee, non soggetta a leggi extraterritoriali e in grado di garantire fiducia e interoperabilità, sono, infatti, numerose. Tra queste, Gaia-X ha rappresentato fin dall’inizio il simbolo più visibile della volontà di creare un cloud sovrano, ma ce ne sono molte: Dome, IPCEI-CIS, 8ra, la European Alliance for Industrial Data, Edge and Cloud, lo European Open Science Cloud, le AI Factories, e altre ancora. Quale validità concreta hanno?

Sovranità europea nel cloud. Che fine ha fatto Gaia-X?

Gaia-X è un ecosistema federato di utenti e fornitori di servizi cloud e dati, che opera secondo un quadro comune di regole e standard ispirati ai valori europei. Il progetto è guidato dalle esigenze degli utenti, ci ha indicato OVHCloud, cloud provider francese e tra i primi a entrare in Gaia-X. Il progetto si propone principalmente di offrire a utenti e fornitori in Europa un maggiore controllo sui propri dati e l’accesso a servizi cloud che garantiscano un adeguato livello di protezione, riducendo al contempo la dipendenza da servizi cloud non europei. Gaia-X vuole creare un’infrastruttura decentralizzata, sicura e trasparente, dove i dati possano essere condivisi e trattati in conformità agli standard e alle normative europee.

“Le aziende europee e italiane, insieme ai loro CIO, si trovano ad affrontare una sfida competitiva importante”, afferma OVHCloud. “Per emergere in un mercato sempre più affollato e stimolare l’innovazione, è fondamentale poter contare su un ecosistema digitale che favorisca lo sviluppo di prodotti innovativi e supporti la crescita e la competitività globale delle imprese e dei modelli di business europei. Gaia-X rappresenta la base su cui costruire tutto questo”.

Anche il Consorzio Top-IX (società italiana che gestisce un Internet Exchange per lo scambio di traffico Internet nell’area del Nord Ovest) è stato membro di Gaia-X fin dall’inizio. E, per Leonardo Camiciotti, Direttore esecutivo di TOP-IX e presidente dell’InterCloud Exchange Foundation di Fulcrum Project, Gaia-X è stato “il contesto che ha creato i presupposti abilitanti per iniziative di federazione infrastrutturale”. Ma non è mai stato nelle intenzioni di questo progetto creare un operatore del cloud pan-europeo.

“Gaia-X, come tutte le iniziative europee sul cloud, è un’iniziativa di ricerca e innovazione, pre-competitive per definizione, perché l’azione che la Commissione Europea può condurre non può, per suo mandato e per via delle norme antitrust, produrre servizi commerciali o favorire alcune aziende rispetto ad altre”, ci ha spiegato Francesco Bonfiglio, co-fondatore e CEO di Dynamo ed ex CEO di Gaia-X. “Per questo Mario Draghi nel suo Rapporto sulla competitività europea ha indicato la necessità di un cambiamento anche nelle regole, altrimenti queste iniziative non andranno a impattare l’industria e il mercato”.

Gaia-X si è proposta di lavorare su tre fronti: gli spazi dati (per agevolare lo scambio dei dati su scala europea), l’abilitazione di più infrastrutture diverse, e il “trust framework”. Gaia-X si è concentrata molto sui dati e su questo trust framework, ovvero il quadro di regole, automaticamente verificabili, volto a rendere affidabile, sicuro e trasparente lo scambio di risorse all’interno degli ecosistemi digitali, ovvero gli spazi dati e la federazione infrastrutturale tra diversi operatori.

Secondo Bonfiglio non valorizzare l’elemento dell’infrastruttura è un punto debole, perché proprio sui data center l’Europa rischia di perdere per sempre la partita del cloud, visti i tanti investimenti che gli hyperscaler stanno facendo oggi in Italia e in Europa sulla costruzione di asset fisici.

“La sovranità non può essere garantita da vendor USA che fanno sovereignty washing e sono soggetti alle leggi americane”, afferma Bonfiglio, riferendosi alla pratica dei fornitori cloud americani di allearsi con fornitori europei per poter vantare garanzia di “sovranità”. “Dipendere da questi fornitori, soprattutto oggi, con un’amministrazione americana imprevedibile nelle sue decisioni, e commercialmente meno amica dell’Europa, è insostenibile, economicamente e politicamente”. 

Luca Dozio, Senior Researcher, Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, chiarisce: “Gaia-X, più che una piattaforma operativa, si è rivelata un’iniziativa di indirizzo strategico, utile per sensibilizzare l’opinione pubblica e gli stakeholder sul tema della sovranità digitale. È innegabile che abbia rallentato il passo e oggi sconti una certa difficoltà ad affermarsi come punto di riferimento unico”. Ma “è ancora attiva e ha avuto il merito di aprire un dibattito concreto sulla necessità per l’Europa di dotarsi di un’autonomia tecnologica reale”.

La “nuova” idea del cloud federato: Dynamo e il marketplace

Il problema dell’Europa è anche la sua frammentazione e la scarsa visibilità per le tante aziende del continente, spesso medio-piccole, che forniscono infrastrutture e servizi cloud e che possono rappresentare una valida alternativa per le nostre imprese, soprattutto PMI. Di qui l’idea del cloud federato che si sta concretizzando in diverse iniziative che partono dal settore privato.

Dynamo, per esempio, la società fondata da Bonfiglio, pensa a un grande marketplace europeo integrato dei servizi cloud (PaaS, IaaS e SaaS).

“Ho lasciato Gaia-X proprio perché è necessario e urgente per l’Europa realizzare un nuovo modello di federazione dell’offerta e nell’associazione questo era impossibile statutariamente, oltre che ostacolato da conflitti di interesse interni”, afferma Bonfiglio. “A inizio 2024 ho fondato Dynamo, unapiattaforma che permette l’integrazione commerciale e tecnica tra fornitori di servizi cloud diversi e che offre un marketplace dei servizi digitali di fornitori europei”.

Bonfiglio descrive Dynamo come “un Amazon del cloud, un single marketplace che cerca di ovviare all’estrema frammentazione dell’ecosistema cloud europeo, dando visibilità ai nostri attori del cloud e creando un’interoperabilità commerciale. La federazione è una via sostenibile, anche perché i CIO non vogliono il lock-in con i grandi fornitori”.

SECA e l’interoperabilità tecnologica dei cloud europei

A marzo 2025 è arrivata una nuova iniziativa europea di federazione, questa volta più tecnologica.  Aruba, IONOS e la stessa Dynamo hanno annunciato SECA (Sovereign European Cloud API), una nuova specifica API per la gestione dell’infrastruttura cloud, disponibile per tutti i cloud provider europei. Aruba e IONOS sono i primi Cloud Service Provider (CSP) europei a rendere disponibile la nuova SECA API ai propri clienti, mentre Dynamo implementerà connettori basati su SECA per automatizzare il processo di provisioning per tutti i provider compatibili che entreranno a far parte della rete.  

“La nascita di SECA API risponde a un’esigenza sempre più urgente: garantire sovranità, interoperabilità e trasparenza nel mercato cloud europeo”, ci ha detto Luca Spagnoli, Field CTO di Aruba. “Il progetto nasce, quindi, da un’iniziativa industriale promossa da Aruba, IONOS e Dynamo con l’obiettivo di definire un linguaggio comune tra cloud provider europei, migliorando l’interoperabilità, riducendo il rischio di lock-in e garantendo il pieno controllo dei dati. L’API è open source, gratuita e certificabile, ed è aperta all’adozione da parte di tutti i cloud provider europei”.

Pensiamo a un’azienda europea che gestisce workload in ambienti multicloud per motivi di resilienza o performance. Oggi ogni integrazione con un provider richiede API proprietarie. Ma con SECA API, la stessa azienda può automatizzare il provisioning e la gestione delle risorse cloud su più provider europei compatibili, senza dover adattare il proprio stack a ogni ambiente.

“Questo le garantisce la libertà di scegliere e cambiare provider facilmente, oppure di orchestrare risorse in parallelo su più cloud provider, sfruttando il meglio di ciascuno”, evidenzia Spagnoli. “È una base concreta per una strategia cloud flessibile, sovrana e realmente orientata all’interoperabilità. E coinvolgere altri partner è non solo auspicato, ma necessario: il successo di SECA API dipende dalla partecipazione attiva dell’intero ecosistema. Abbiamo appena aperto una Call for Comments fino a metà settembre in vista del primo lancio sul mercato con il supporto IaaS, seguito da quello per il PaaS”.

SECA API, infatti, è entrata nella fase di “Partecipazione e interazione” con l’avvio di un processo formale di richiesta di commenti (RFC) [in inglese], aperto a tutti i fornitori di servizi cloud, sviluppatori, ingegneri, stakeholder europei, system integrator e consulenti aziendali. Inoltre, verrà aperto un bando di partecipazione, poiché l’iniziativa accoglierà anche altri fornitori europei di servizi cloud per contribuire alla costruzione di un ecosistema europeo aperto e competitivo che ha alla base la neutralità tecnologica.

Project Fulcrum, l’iniziativa che guarda alle PMI

Un’ulteriore iniziativa di federazione è Project Fulcrum, lanciata dal Consorzio Top-IX, Opiquad, Bbbell e Testudo. E che nasce proprio dagli stimoli del Trust Framework di Gaia-X.

Da questo contesto, “Noi di Top-IX, insieme a Opiquad, Bbbell e Testudo, ci siamo mossi dando il via a Fulcrum Project, mettendo insieme operatori italiani del cloud e dell’interconnessione, per abilitare un mercato di scambio di risorse computazionali che permettesse agli operatori, in particolare a quelli piccoli e medi, di dotarsi, quando richiesto dal cliente finale, di maggiore capacità computazionale e copertura geografica”, racconta Camiciotti. “Federando le nostre risorse possiamo soddisfare le richieste di clienti che hanno bisogno di più potenza o copertura ‘prendendo in prestito”’ quelle risorse da altri nella federazione”.

Grazie alla federazione, Fulcrum Project permette di valorizzare “l’ultimo miglio commerciale” presidiato dai piccoli e medi cloud provider, facilitando l’adozione di soluzioni cloud da parte delle PMI.

“Secondo gli obiettivi dell’UE al 2030 il 75% delle PMI dovrà essere sul cloud, ma oggi occorre creare i presupposti per raggiungere quell’obiettivo”, prosegue Camiciotti. “Le piccole imprese hanno bisogno del contatto personale, del prodotto sartoriale e dell’accompagnamento, e l’hyperscaler spesso può essere sovradimensionato rispetto alle loro esigenze. Poi, se ci sono imprese che desiderano internazionalizzarsi e hanno bisogno di scala, con la federazione e il computing exchange market Fulcrum risponde a questa esigenza”.
 
Fulcrum Project è, in particolare, una federazione di infrastrutture tecniche per avere un controllo full stack e garantire la sovranità tecnologica. Come indica Camiciotti, si tratta del “controllo dell’intera filiera tecnologica basato sull’uso dell’open source”. Il progetto è rivolto al segmento di mercato B2B, in quanto federazione infrastrutturale: i clienti potenziali di Fulcrum sono cloud provider. 

“Fulcrum crea un unicum infrastrutturale e garantisce robustezza tecnologica, anche applicando il Trust Framework sviluppato da Gaia-X”, spiega Camiciotti. “Inoltre ci possiamo interfacciare con alcuni dei progetti in corso in Italia e con progetti europei quali Dome, il marketplace dei servizi cloud e edge per il segmento retail, e l’IPCEI-CIS”.

Fulcrum non è anti-hyperscaler, ma, rispetto a questi, dà sicurezza sull’assenza di lock-in e la presenza territoriale a fianco dei clienti. 

“L’aspetto collaborativo è centrale per noi, non vediamo il cloud come una contrapposizione tra attori diversi”, afferma Camiciotti. “Ma è possibile che Fulcrum, grazie all’integrazione di tecnologie e alla valorizzazione degli investimenti già fatti dai piccoli operatori, permetta di creare un’offerta europea in cui la scala è raggiunta non grazie ad un singolo operatore ma all’unione delle forze. Soprattutto, intanto, si mitiga il rischio che l’UE resti totalmente esclusa dal mercato del cloud. Riteniamo che la competenza tecnologica sia la base per ritagliarci un ruolo, altrimenti diventeremo solo un rivenditore di tecnologie terze. Noi abbiamo rilasciato il nostro software aperto proprio per cercare di formare una filiera di competenze su tecnologie aperte a ogni sviluppo”.

Cloud federato per la PA, la proposta di Assinter

La proposta di federazione più recente è quella di Assinter, che riguarda la Pubblica Amministrazione italiana. Assinter (l’associazione che riunisce aziende di Regioni e Province Autonome, di Enti Locali e di diversi Enti pubblici centrali che operano nel settore ICT) ha suggerito di affiancare al Polo Strategico Nazionale (PSN, che ha l’obiettivo di dotare la PA di tecnologie e infrastrutture cloud con le più alte garanzie di affidabilità, resilienza e indipendenza) una rete di data center certificati e sicuri implementati dalle in-house regionali. Questo permetterebbe di unire le risorse per affrontare le esigenze di prossimità e di potenza di calcolo dell’edge cloud e dell’intelligenza artificiale. In questo modello il PSN, focalizzato sulla gestione dei dati nazionali strategici e per le pubbliche amministrazioni centrali, integra anche le entità pubbliche più piccole e distribuite sul territorio italiano.

“Proponiamo una federazione di infrastrutture distribuite sul territorio e certificate dall’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale”, ci ha detto Pietro Pacini, presidente di Assinter e direttore generale del CSI Piemonte. “Questi sono asset delle in-house delle PA italiane, che per ora sono dedicati ai servizi regionali, ma che possono essere complementari al PSN e aiutare a raggiungere più facilmente le PA locali. Sarebbe importante federare i data center pubblici per sostenere l’adozione dei servizi AI, perché occorre abbattere la latenza, e la vicinanza dell’infrastruttura al cliente finale è fondamentale”.

La proposta (che Assinter ha portato all’attenzione del governo) è di collegare tra loro i data center delle grandi PA, riunendo soggetti come CSI Piemonte, Insiel, LazioCrea, InnovaPuglia, e così via. Lo stesso CSI ha già stretto un accordo con Liguria Digitale e ACI Informatica per dar vita a un’infrastruttura distribuita e potenziare ciascuna in-house con le risorse delle partner. 

“La federazione ha come componente tecnologica l’open source e l’open stack anche per garantire la sovranità, oltre che per valorizzare gli investimenti della PA. Assinter sta studiando come realizzare questi accordi dal punto di vista giuridico”, afferma Pacini. “Il Decreto Legge sull’AI ci fa ben sperare perché apre alla possibilità per lo Stato di promuovere un ecosistema pubblico con infrastrutture federate per favorire la diffusione dell’AI. Le infrastrutture ci sono: il vantaggio sarebbe di distribuire le risorse sul territorio, andare un verso modello edge cloud e favorire l’elaborazione richiesta dall’AI”.

L’Europa sul cloud si sta muovendo. Ma ha bisogno di una regia

Tutti questi progetti sono il riflesso di un’Europa “che ha compreso l’urgenza di costruire un’infrastruttura digitale autonoma e sicura, capace di rispondere non solo a sfide tecnologiche, ma anche normative, economiche e geopolitiche”, secondo Spagnoli di Aruba. “In un contesto in cui la localizzazione e la gestione del dato sono elementi sempre più strategici, soprattutto per settori regolamentati, avere a disposizione soluzioni cloud totalmente europee e pienamente allineate alla normativa europea (GDPR, NIS2, Cyber Resilience Act) rappresenta una garanzia di fiducia e continuità operativa”.

Per i CIO italiani, queste iniziative rappresentano un’opportunità di scelta e controllo: l’obiettivo di tutte è dare ai la possibilità di adottare soluzioni cloud che garantiscono conformità, interoperabilità tra ambienti e possibilità di evitare il vendor lock-in.

Spagnoli sottolinea anche che la conformità normativa nativa di molti provider europei offre un vantaggio concreto in termini di compliance-by-default. E queste opportunità non riguardano solo le imprese utilizzatrici finali, ma si estendono alla filiera IT locale: Managed Service Provider, system integrator e software house possono costruire e distribuire soluzioni digitali pienamente conformi alle normative europee, grazie a infrastrutture cloud sovrane.

“L’ecosistema è vitale e si sta strutturando su più livelli: dalla definizione di standard tecnici (come SECA API) alla costruzione di ecosistemi federati (Gaia-X), fino a iniziative politiche e normative per favorire condizioni di mercato eque”, conclude Spagnoli. “La vera sfida risiede probabilmente nel coordinamento efficace di questi sforzi, che sarà determinante per trasformare le varie iniziative in un sistema integrato, capace di mettere l’Europa in condizione di offrire alle proprie aziende un cloud veramente sovrano”.

Anche per Dozio i tanti progetti in corso rappresentano un segnale positivo di fermento tra aziende, policy maker e comunità tecnologiche. Ma “ogni iniziativa nasce con un punto di vista specifico, spesso legato agli interessi di uno o più attori di mercato e questo può portare a una dispersione di risorse e a una scarsa interoperabilità tra i diversi modelli. Perciò sarebbe auspicabile una regia forte a livello europeo, capace di integrare gli sforzi e fornire linee guida chiare. Altrimenti, si rischia che la competizione interna tra le stesse realtà europee indebolisca la posizione dell’intero continente, già in svantaggio nei confronti dei colossi internazionali. Anche in questo caso, serve una visione industriale condivisa”.

Insomma, la direzione è giusta, ma ciò che manca è una governance politica forte e coordinata a livello sovranazionale.

Anche per mettere insieme sullo stesso mercato le aziende del cloud, concorrenti tra loro, servirebbe un impulso dalla politica, per esempio con degli incentivi, suggerisce Bonfiglio: “Sarebbe una storia di successo come quelle del roaming Tlc o del circuito bancario Swift-Sepa”.

Per i CIO il vero problema è nel SaaS

E per i CIO che cosa serve? Il vero problema è la mancanza di scelta nel SaaS: qui lo scarso potere negoziale e il vendor lock-in sono dei limiti e, oggi, anche dei rischi potenziali, dichiarano molti manager italiani.

“Il SaaS, secondo me, in alcuni casi è un rischio, se il servizio è vitale”,afferma Giuseppe Pitarresi, CIO di Omer spa(progettazione e fabbricazione di arredi per i treni). “Per noi uno stop significherebbe fermare la produzione. Occorre mitigare scrivendo bene i contratti con i partner, anche se non è facile, perché i vendor dei software su cloud impongono le loro condizioni generali e non offrono dei referenti precisi a cui rivolgersi in caso di problemi. Se per pura ipotesi uno di questi fornitori fallisse, che cosa succederebbe alla mia azienda? Se rivoglio i miei dati, come devo fare? È previsto un piano in caso di disastro? Se mi dimentico di pagare una fattura, il fornitore stacca la spina e la fabbrica si ferma. Per questo dico che i contratti andrebbero scritti attentamente, almeno finché non saranno i regolatori a fare chiarezza su questi punti”.

Pitarresi si riferisce a quello che alcuni definiscono il “killer switch”, ovvero il rischio che qualcuno che controlla le piattaforme digitali decida di spegnerle, compromettendo i servizi e l’economia europea.

Anche Sara Volino Coppola, Responsabile Direzione Sistemi Informativi di Alia Servizi Ambientali, sottolinea che il vero problema di dipendenza tecnologica europea si pone con il SaaS, più che con il cloud in generale, perché, quando si sceglie una piattaforma come servizio, il fornitore impone di usare una specifica infrastruttura, legando il cliente a dei provider precisi – tipicamente, le Big tech.

“I servizi SaaS sono dominati dagli americani e, anche con marketplace che federano i cloud europei, occorrerà far convivere i big degli Stati Uniti con i nostri fornitori”, afferma Volino Coppola. “E, comunque, è sempre il mercato a scegliere chi vince, bisognerà vedere se i cloud europei federati raggiungeranno la massa critica di clienti. L’AI sarà un elemento discriminante sia sulle garanzie di compliance che sulla potenza di calcolo, dove non è detto che le grandi imprese riescano a coprire le loro esigenze computazionali. Forse le più piccole saranno le più attratte dai fornitori locali, anche per i vantaggi di prossimità”.

Oggi i CIO scelgono il cloud provider in base ai costi e alle competenze specialistiche. Volino Coppola, per esempio, usa numerosi fornitori – non solo le big tech Usa, ma anche vendor europei che sono specializzati su determinate applicazioni. 

“Oltre a offrire un buon prezzo, hanno una competenza specifica sullo stack tecnologico dell’applicazione”, spiega Volino Coppola. “Ma, appunto, stiamo parlando di cloud IaaS e PaaS. Sul SaaS non c’è scelta: se scegli SAP devi andare sull’infrastruttura di una delle tre big americane, Salesforce impone addirittura quale delle tre”.

La sovranità europea nel cloud è davvero possibile?

La sovranità digitale europea nel cloud è, dunque, impossibile?

“Non è impossibile, ma è certamente complessa: il cloud non è un mercato nascente, è già maturo e fortemente dominato da player globali consolidati”, risponde Dozio. “Per questo serve un indirizzo politico chiaro, capace di favorire aggregazioni industriali e scelte strategiche comuni, come avvenne per Airbus in campo aerospaziale. In un contesto geopolitico così instabile e digitalizzato, la computazione, insieme all’energia e alla connettività, è una risorsa critica su cui è giusto che l’Europa voglia mantenere controllo”.

La ricetta di Bonfiglio è precisa:“L’Europa dovrebbe esercitare un maggiore controllo sull’acquisizione di spazi fisici (data center), garantendo, ad esempio, quote massime di allocazione di spazi e energia a soggetti stranieri. Dovrebbe modificare le regole del procurement pubblico di servizi cloud, che in assenza di giustificazioni, favoriscono l’acquisto di soluzioni dominanti, piuttosto che quelle necessarie a soddisfare i requisiti tecnici, discriminando di fatto i fornitori europei. Dobbiamo comprendere che non ha senso sperare nella crescita di un singolo fornitore europeo per crearci la nostra Amazon o Google, ma serve passare dall’iper-centralizzazione dei servizi, e conseguente lock-in, a un modello iper-distribuito, dove l’interoperabilità, commerciale e tecnica, tra operatori diversi costituisce l’elemento di scelta da parte dei clienti finali”.

Nel 2024 le aziende italiane hanno speso 6,8 miliardi di euro in cloud (+24%), con un forte aumento della componente infrastrutturale e un ruolo chiave del cloud come abilitatore dell’intelligenza artificiale (dati del Politecnico di Milano). Secondo Dozio “questa crescita, per diventare sostenibile e strategica, ha bisogno di basi solide: infrastrutture, competenze, modelli di governance. Ed è qui che l’Europa deve fare un salto di maturità”.

Poi, al di là delle teorie, resta la posizione pratica e concreta dei CIO: si usa ciò che funziona meglio per l’operatività aziendale e le esigenze normative.

Marco Foracchia, CIO di Ausl Reggio Emilia, spiega: “Siamo una struttura pubblica della sanità e dobbiamo obbligatoriamente poggiare sul PSN, o in alternativa un cloud certificato per la PA dall’ACN. Questo vale anche per i nostri partner che trattano i dati per noi: tutto deve appoggiarsi su infrastrutture che rispettino vincoli normativi specifici, tra cui quello di localizzazione nella UE. Nel nostro caso abbiamo condiviso la scelta regionale di appoggiarci sulle infrastrutture certificate della in-house Lepida. Dovendo allo stesso tempo garantire la continuità operativa, anche in assenza di connettività verso i datacenter, la strategia adottata prevede la permanenza di parti di applicazioni e storage on-premise. Il dibattito sulla sovranità non ci interessa in modo diretto: il cloud su cui ci appoggiamo è individuato e regolato in modo stretto, anche nella sua declinazione ibrida”.

E, anche quando c’è la possibilità di scegliere tra fornitori e servizi cloud diversi, il CIO deve sempre confrontarsi con la direzione. Come afferma Volino Coppola: “È impossibile spiegare al business che vuoi il cloud europeo al posto di quello di altri vendor: il business sceglie in base alle funzionalità e il CIO difficilmente può imporsi”.

Patrizia Licata
Scrittore Collaboratore

Giornalista professionista e scrittrice. Dopo la laurea in Lettere all’Università La Sapienza di Roma, ho iniziato a lavorare come freelance sui temi dell’innovazione e dell'economia digitale. Scrivo anche di automobili, energia, risorse umane e lifestyle. Da una ventina d’anni collaboro con le principali testate italiane su carta e web.

 

A regular contributor to CIO Italia, Patrizia Licata is a professional journalist and writer based in Rome. After graduating in Literature at La Sapienza University in Rome, she began working as a freelancer on the topics of innovation and digital economy. She also writes about cars, energy, human resources, and lifestyle for various publications. For about 20 years, she has been collaborating with the main Italian newspapers on paper and online.

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