
Se le soft skill sono ciò che fa differenza nella leadership del CIO le donne con ruoli dirigenziali nell’IT sono in ottima posizione. Empatia, capacità di ascolto e mediazione sono tipiche qualità delle dirigenti donne (oltre che del leader “gentile”, come si tende a dire oggi), spesso più pazienti e meno spaventate dalle reazioni emotive rispetto alle controparti maschili. Le generalizzazioni sono sempre pericolose, ma le donne che lavorano nella tecnolologia sentono di poter imprimere alla gestione del team un mix vincente di competenze hard e soft, pur sottolineando di non essere “migliori o peggiori” dei leader maschili, ma solo positivamente diverse, come nell’accezione del termine inglese “diversity”, che indica quella varietà che è vero arricchimento.
“Il Chief Information Officer ha bisogno soprattutto di soft skill e le donne sono spesso brave a comunicare, sanno ascoltare ed essere diplomatiche, oltre che capaci di agire da mediatore e raccordo tra le funzioni aziendali”, rivela Viola Frediani, IT Finance & Business Intelligence Manager di Lucart (azienda produttrice di carta). In Lucart, l’IT non è visto soltanto come una funzione tecnica, ma anche come supporto alla digitalizzazione dei processi – quasi un consulente interno – e questo ruolo “si sposa molto bene con le competenze soft”, secondo Frediani.
Ovviamente, nessuno – e tantomeno le donne – vuole cadere negli stereotipi.
“Forse parlare di soft skill è diventato un cliché, perché alcune qualità sono personali e non legate al genere. Ma credo che le donne, per vissuto ed esperienza, sviluppino spesso capacità come l’ascolto attivo e la gestione paziente delle relazioni. Nella leadership, queste competenze fanno la differenza”, sottolinea Silvia Lametti, IT Manager/CIO con esperienza multinazionale e membro di AUSED.
Per Barbara Marmello, IT Manager e associata AUSED, “Le donne, in genere, sono più capaci di mettersi nei panni dei collaboratori e capire come stimolarli, farli lavorare meglio e aiutarli a mettersi in gioco. Spesso siamo più in grado di sostenere le persone senza che ciò diventi un controllo eccessivo. È importante lasciare spazio alle persone per farle crescere. Direi, in una sola parola, che siamo più empatiche”.
La marcia in più delle donne nell’IT: la leadership “empatica”
Secondo Marmello, le donne sanno leggere i segnali negli altri con una sorta di “sesto senso”. Hanno la pazienza di chiedere dov’è il problema e sono brave nel change management, un’altra qualità indispensabile per il Chief Information Officer di oggi.
“Sappiamo accogliere le emozioni e capire le paure legate al cambiamento, che a volte sono molto personali”, sottolinea Marmello.
L’empatia delle donne costruisce il loro successo non solo come leader di un team IT, ma anche nelle relazioni con i colleghi delle altre funzioni.
“Mi sono accorta di riuscire a instaurare la comunicazione più facilmente di quanto capitasse ai manager uomini”, racconta Marmello. “Mi è addirittura successo che una collega, in ansia per il progetto di introduzione di un nuovo ERP che avevamo avviato, scoppiasse in lacrime. Si era sentita a suo agio con me e la mia reazione è stata, prima, quella di ascoltare e, poi, di rassicurare”.
Lo sfogo della collega, infatti, nasceva da una situazione precedente, una passata implementazione – prima che Marmello fosse assunta – che si era scontrata con tanti ostacoli e aveva messo in difficoltà le persone. I colleghi non-IT erano preoccupati che il nuovo progetto avrebbe sconvolto il loro lavoro. Di qui le rassicurazioni: questa piattaforma era stata progettata in modo diverso e non c’era nessuna intenzione da parte di Marmello di giudicare le persone in base a quanto rapidamente e abilmente avrebbero usato il nuovo sistema.
“Certo, le rassicurazioni date a parole devono essere seguite dai fatti”, commenta Marmello. “Ma ho tenuto a sottolineare che questo nuovo ERP non era un esame o una corsa all’adozione, ma un cambiamento da gestire tutti insieme e ciascuno con i propri tempi”.
“A volte siamo quasi uno psicologo che aiuta i colleghi a superare lo stress con la nostra capacità di consigliare”, spiega Frediani. “Mi è capitato di aiutare i colleghi a rapportarsi con le altre aree del business, in modo costruttivo ed evitando gli scontri. Le donne hanno più cura e attenzione e questa componente aiuta nelle relazioni e nel management”.
Più donne nell’IT, ma la donna CIO è una rarità
La diversità è fondamentale per le prestazioni dei team IT i quali, quando sono composti da persone di ogni sesso, estrazione e cultura, ottengono risultati migliori perché al loro interno circolano più idee, punti di vista ed esperienze. Secondo uno studio di McKinsey [in inglese] la diversity si traduce anche in prestazioni finanziarie migliori per l’azienda.
“Credo molto nel valore della diversità. Un team vario – per competenze, esperienze, provenienze – è più ricco di idee e più pronto ad affrontare il cambiamento”, dichiara Lametti. “Nel mio percorso in contesti diversi ho sempre cercato di costruire un dialogo aperto con la squadra”, prosegue la manager. “Il lavoro IT richiede molta attenzione ai dettagli, adattabilità e capacità di mediazione: è necessario comprendere le priorità, tradurre bisogni tecnici e richieste del business, spiegare i cambi di rotta. È un ruolo che chiede equilibrio tra visione tecnica e capacità relazionale, qualità che molte donne sanno esprimere con naturalezza”.
Nonostante ciò, le donne rimangono ampiamente sottorappresentate nei ruoli IT, soprattutto in quelli apicali. Il problema non è solo italiano [in inglese]: a dispetto di una grande attenzione generale nei confronti della diversity, le donne sono in minoranza anche nelle Big Five tecnologiche statunitensi, secondo i dati della Banca Mondiale relativi al 2024. Di queste, Amazon ha il maggior numero di dipendenti donne al 45%, seguita da Meta (37%), Apple (34%), Google (33%) e Microsoft (33%). Ma, in queste aziende, la quota femminile copre, rispettivamente, solo il 29%, il 34%, il 31%, il 28% e il 26% delle posizioni dirigenziali. In particolare, nessuna delle Big Five ha mai avuto un amministratore delegato donna, e solo circa il 9% ricopre posizioni come CIO, CTO, responsabile IT o team leader tecnico.
Le donne nella tecnologia affrontano ostacoli [in inglese] soprattutto quando si tratta di stabilire un sano equilibrio tra lavoro e vita privata, spesso destreggiandosi con più responsabilità al di fuori del lavoro rispetto alle controparti maschili. Uno studio del 2023 di Deloitte [in inglese] ha rilevato che le donne hanno maggiori probabilità di lasciare l’impiego citando la mancanza di flessibilità e un equilibrio negativo tra lavoro e vita privata. Del resto, la quasi totalità delle intervistate (il 97%) ritiene che chiedere maggiore flessibilità sul lavoro avrebbe un impatto negativo sulle possibilità di promozione o che si tradurrebbe nel lavorare come se fossero a tempo pieno, ma in meno ore e per meno soldi.
L’Italia è tra gli ultimi Paesi in Europa per partecipazione femminile alla forza lavoro: appena il 51%, ben al di sotto di quanto avviene in Germania (dove il 75% delle donne in età lavorativa è impiegata), Francia (68%) e Spagna (64%). Le donne dirigenti stanno aumentando, ma solo il 28% di tutte le posizioni manageriali è coperto da donne nel 2024 e solo il 18% delle donne manager è propriamente un executive, secondo l’ultimo studio “Women and Work in Italy [in inglese]” della Rome Business School [in inglese]. Il report non offre percentuali specifiche per le donne nell’IT, ma sottolinea che le donne che seguono corsi di studi STEM sono solo il 17% del totale, contro il 39% degli uomini, anche se non è affatto detto che le CIO o le dirigenti dell’IT siano laureate in materie scientifico-tecnologiche: per esempio, tra le nostre intervistate, lo sono Sara Volino Coppola (matematica) e Silvia Lametti (informatica), ma non Viola Frediani (Economia).
Lo studio della Rome Business School ribadisce che per le donne è difficile bilanciare la carriera e la famiglia. Dopo l’assenza per maternità, il 16% delle donne in Italia rinuncia a lavorare (contro il 2,8% degli uomini). Inoltre, nelle posizioni manageriali, le donne continuano a guadagnare meno degli uomini: 33,6 euro l’ora contro i 46,2 euro delle controparti maschili (dati del MEF, 2024).
“Il fatto che la donna si prenda cura della famiglia e abbia dei figli è il primo motivo per cui viene esclusa dalle posizioni apicali: non ha una disponibilità totale di tempo per l’azienda”, evidenzia Frediani. “Quando si lavora per obiettivi questo ostacolo si supera, come è il caso di Lucart. Ma la legge non aiuta: in Italia maternità e paternità non sono equiparate e questo perpetua il gender gap e crea un pregiudizio nel portare le donne ai vertici, perché si tende a scegliere chi è sempre disponibile e può stare in ufficio senza limiti di orario e viaggiare. All’estero non è così, occorrerebbero delle leggi che equiparino l’uomo e la donna nella gestione della famiglia”.
“La presenza femminile nel settore tecnologico è ancora bassa, soprattutto nei ruoli apicali”, commenta Barbara Martini, CIO di BFM Consulting. “Ma la leadership femminile nell’IT è in crescita e porta una visione diversa, spesso più inclusiva e collaborativa. Le donne hanno una capacità peculiare: la loro leadership è trasformativa”.
Tuttavia, riconosce Martini, permangono dei bias inconsci, la worklife integration resta difficile e mancano i modelli femminili a cui ispirarsi e da cui trarre più autostima e sicurezza.
“Sarebbe molto importante avere molte più donne nei ruoli di mentore, perché la visibilità di figure femminili nel tech ispira le nuove generazioni e rompe gli stereotipi”, precisa Martini. “Anche le aziende devono fare la loro parte con policy di inclusione di genere, percorsi di crescita e flessibilità lavorativa. Occorre creare ambienti di lavoro equi e inclusivi”.
I preconcetti che nutrono il gender gap
Al cuore del gender gap, infatti, ci sono dei preconcetti sulle donne in carriera difficili da scardinare.
Secondo Sara Volino Coppola, Responsabile DSI – Direzione Sistemi Informativi di Alia Servizi Ambientali, “Gli uomini automaticamente danno meno opportunità di avanzamento professionale alle donne presupponendo che le donne debbano avere tempo per i figli, come se la carriera e la famiglia fossero assolutamente incompatibili. Non è necessariamente vero: io ho tre figli e sono direttore IT. Ma gli uomini tendono a presupporre che sia così e, quindi, a scegliere al posto nostro. Invece, è la donna che decide come organizzare la sua vita”.
Nelle società mondiali la donna è spesso più coinvolta nella cura della famiglia – che siano i figli o i genitori anziani – e questo fa sì che non sia disponibile per il lavoro 24 ore su 24 come potrebbe fare un uomo (anche se le giovani generazioni stanno cambiando e sono molto più esigenti sul worklife balance). Questo non vuol dire, però, che le donne non siano in grado di garantire il risultato.
“In alcune aziende si può incontrare una certa resistenza”, nota Marmello. “A me è capitato ai colloqui di lavoro che mi si chiedesse se avevo intenzione di fare figli o addirittura se i miei genitori fossero in salute. E confrontandomi all’interno del gruppo AUSED Women di cui faccio parte ho ascoltato esperienze anche più scoraggianti. Agli uomini queste domande non vengono fatte”.
Attenzione però alla parità di genere come pura retorica. “Si rischia un’enorme generalizzazione, perché, in realtà e per fortuna, siamo tutti diversi”, dichiara Volino Coppola. “E se è vero che il mondo è maschilista, va anche detto che le donne devono imparare a farsi spazioe a chiedere, anzi esigere, ciò che spetta loro, non ad aspettarsi che arrivi dall’alto. Gli uomini fanno così”.
È un gap che le donne accumulano spesso fin da piccole, nel modo in cui vengono cresciute, spinte più verso l’accudimento che la competizione. Molte manager sottolineano che occorre anche imporsi quando se ne ha il diritto: le donne devono farsi notare per quello che valgono. Leader gentili, ma anche combattive.
La leadership femminile è gentile, non debole
Le donne devono anche credere in sé stesse e sostenersi tra loro: a volte sono loro stesse a nutrire dei pregiudizi sulle colleghe, se non ricadono nello “standard” femminile, qualunque cosa esso sia. Ed è importante sostenere le reti professionali femminili, sottolinea Martini.
“Non dobbiamo sottovalutarci e dobbiamo imparare a mostrarci e a metterci in gioco. Ci sono ancora poche donne speaker agli eventi IT, per esempio. Non dobbiamo essere perfezioniste all’estremo. Ci sentiamo sempre messe alla prova”, rileva Marmello.
Un altro aspetto è che le donne devono sapersi presentare con meno ingenuità ai loro pari, perché il loro essere “accoglienti” può essere scambiato per debolezza da un interlocutore poco attento, prosegue Marmello: “Essere gentili con i collaboratori va bene, ma con i pari il nostro modo di essere va commisurato alla sensibilità di chi abbiamo di fronte. Non vuol dire che dobbiamo snaturarci, ma la nostra gentilezza non significa che non abbiamo idee o ambizioni”.
Capita, infatti, chegli uomini CIO scelgano le donne nel loro team perché si sentono rassicurati sul fatto che non metteranno in discussione la loro posizione.
“Sono convinti che non faremo loro concorrenza e non contesteremo la loro leadership”, aggiunge ancora la manager. “A me è capitato di fare dei colloqui e di accorgermi che il mio essere donna era apprezzato anche per questo. Peccato che poi venivo scartata perché appariva chiaro che ho un mio carattere e delle mie opinioni, e quando non sono d’accordo lo faccio presente”.
Quote rosa no, diversity sì
In definitiva, le donne Chief Information Officer (di solito) sanno ascoltare, vedere oltre, creare team IT sereni e coesi, instaurare buoni rapporti con i clienti e i partner e mostrarsi empatiche. Questo determina il successo della loro leadership. Tuttavia, non vogliono contrapporsi agli uomini e non vogliono “favoritismi”.
“Nei team la diversity uomo-donna è ideale, permette di vedere i problemi da diverse angolature e di andare a fondo nelle dinamiche. Non si progredisce interfacciandosi solo con persone simili, il confronto è essenziale”, riconosce Marmello.
“Diversity equivale a innovation: team più diversificati producono soluzioni più innovative”, le fa eco Martini.
“Non è il caso di dividere il mondo tra uomini e donne”, ribadisce Volino Coppola. “E non ci piacciono le quote rosa”, aggiunge. “Io, oltre ad essere CIO, sono entrata anche in diversi CdA e non è piacevole avere il dubbio di essere stata scelta per il rispetto delle quote rosa: non vogliamo essere scelte solo perché donne, ma per i nostri meriti professionali”.
Tutte le manager sono d’accordo: le quote rosa non appaiono il modo migliore per sostenere la presenza delle donne ai vertici aziendali.
“Neanche io apprezzo molto il meccanismo delle quote rosa, sono i meriti che ci devono portare avanti”, aggiunge Lametti. Che poi tiene a precisare: “È vero che le donne si dirigono verso le aziende in cui vedono praticati i valori della diversity e dell’apertura a tutto campo. Anch’io ho sempre fatto così: ho scelto datori di lavoro dove sono stata accolta come manager e come madre alla pari degli uomini. Quello che cerchiamo è poter avere le stesse opportunità, non la preferenza. E la diversity è un valore in cui credo molto: un team più è vario e maggiore sarà il suo successo”.