Cloud, cybersicurezza e acquisizioni aziendali sono i principali (ma non unici) moltiplicatori di tecnologie e progetti IT. Alle aziende è richiesto un ripensamento organizzativo con un forte ruolo di guida da parte del CIO nel gestire formazione e governance. Ecco come (e in quanto tempo) i nostri Chief Information Officer stanno riuscendo a mitigare la complessità

Fra i tanti grattacapi del CIO quello della complessità dell’IT ha delle caratteristiche peculiari: è, da un lato, inevitabile nell’era della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, ma va, dall’altro, gestito e mitigato se non si vuole bloccare l’innovazione.
Questa complessità può nascere da più fattori. Per esempio, un’azienda può essere andata incontro ad acquisizioni o merger e così vede stratificarsi sistemi diversi al suo interno. Se queste operazioni accadono in fasi in cui la tecnologia non subisce forti accelerazioni, i disagi sono relativi: non è necessaria una revisione totale del parco tecnologico, potrebbe bastare qualche upgrade applicativo. Ma, negli ultimi 10-20 anni, la tecnologia si è evoluta a ritmi velocissimi e c’è stato un aumento enorme della numerosità delle soluzioni sul mercato, soprattutto col cloud. Questo ha fatto aumentare le opzioni e le funzionalità, con grandi vantaggi per le imprese, ma il prezzo da pagare è l’aumento dei progetti nelle aziende.
“Negli ultimi vent’anni, l’avvento e la pervasività del cloud hanno completamente ridisegnato il panorama tecnologico delle imprese”, afferma Daniele Massara, Responsabile Sistemi Informativi della multi-utility Contarina. “Laddove prima si gestivano ambienti IT centralizzati, con infrastrutture proprietarie e team interni di sviluppo, oggi ci si confronta con un ecosistema distribuito, in costante evoluzione, fatto di servizi multi-cloud, aggiornamenti continui e nuove minacce di sicurezza. Per le aziende di medie dimensioni questo si traduce in una trasformazione profonda: più opportunità, ma anche più complessità e un numero crescente di iniziative da governare”.
“L’evoluzione tecnologica ha portato con sé un aumento esponenziale della complessità nei sistemi informatici: infrastrutture ibride, cybersecurity, compliance, integrazione di sistemi legacy e cloud”, evidenzia Barbara Martini, CIO di BFM Consulting (consulenza e servizi aziendali nell’ambito del trasporto di merci pericolose). “Questa complessità può diventare un freno all’innovazione se non viene gestita strategicamente”.
Perché oggi l’IT è più complesso: il cloud e gli altri fattori
Massara sottolinea che il cloud ha moltiplicato la frammentazione delle soluzioni in azienda, ampliando il numero di ambienti, fornitori, API e logiche di integrazione. Questo ha alzato l’asticella delle competenze, reso necessaria una governance più articolata e richiesto la nascita di ruoli trasversali tra IT e business.
Anche la cybersecurity introduce ulteriori livelli di complessità, perché porta in azienda nuove piattaforme, strumenti di monitoraggio, obblighi normativi e logiche di gestione dei rischi che devono essere presidiate da personale esperto.
Un altro generatore di complessità è lo shadow IT: con la facilità di accesso alle tecnologie “sulla nuvola”, non è raro che unità di business attivino autonomamente servizi, senza coinvolgere l’IT, generando rischi rilevanti.
“Lo shadow IT si combatte con una mappatura precisa degli asset digitali e con strumenti di IT Asset Management, ma soprattutto con cultura aziendale”, precisa Massara. “Il business deve capire che attivare servizi senza controllo espone l’azienda a rischi di sicurezza e problemi di governance. E alla fine, quando qualcosa va storto, tocca comunque all’IT risolvere”.
Formazione e project management per affrontare la complessità
Questa rapida evoluzione in aree strategiche come il cloud, la cybersecurity, ma anche gli analytics e la business intelligence, richiede alle aziende di investire su due fronti: competenze e metodo.
“Da un lato, sono necessari percorsi strutturati di upskilling e reskilling per preparare le persone alla gestione delle nuove tecnologie; dall’altro, serve un modello organizzativo in grado di governare una crescente mole di progetti, che non possono più essere trattati in modo episodico”, sottolinea Massara. “Cambia l’approccio al project management: il portafoglio progetti si è ampliato in modo significativo e serve un PMO strutturato, con Project Manager che spesso non risiedono più solo nell’IT, ma direttamente nel business”.
Una delle evoluzioni più marcate è, infatti, il coinvolgimento diretto del business nei progetti IT. Massara sottolinea che il business oggi è corresponsabile delle iniziative digitali: deve sponsorizzare i progetti e investire risorse e tempo sull’innovazione, non può più delegare tutto all’IT.
“Questo cambiamento culturale è alla base della collaborazione fra dipartimenti e richiede che le direzioni aziendali sviluppino una maggiore consapevolezza della complessità tecnologica, contribuendo attivamente alla definizione delle priorità attraverso modelli di demand management integrati con il project portfolio”, sottolinea il CIO.
Come gestire le acquisizioni aziendali
Un altro fattore che genera complessità è senz’altro la crescita per acquisizioni, perché ogni società acquisita ha il suo sistema IT e lo porta in dotazione. Uniformare richiede investimenti e attività di accompagnamento, come la formazione e il change management. In questi casi, spesso la strategia dei CIO è di procedere per priorità: l’obiettivo finale è senz’altro quello di unificare gli IT, ma si inizia da uno o due piattaforme, come il gestionale aziendale unico, e il resto viene realizzato negli anni.
Infatti, se è vero che un IT con sistemi diversi comporta una complessità maggiore, d’altro lato, siccome le aziende sono molto attente ai costi, il fatto di non investire subito pesantemente nell’unificazione viene visto come un compromesso positivo. Man mano che l’obsolescenza dei sistemi impone la sostituzione, si armonizza.
Igor Dimitri, IT Manager UPS Italia, si trova a gestire l’IT proprio in una realtà cresciuta per acquisizioni. Finora non c’è stata una vera strategia di integrazione di sistemi e l’azienda si ritrova con tante applicazioni diverse da far convergere. Le varie applicazioni avevano in origine gestioni separate con i relativi contratti di consulenza, analisti, supporto, attività di sviluppo, fornitori, reti e contratti. Tutto questo si traduce in inefficienze e costi.
Come orientarsi? “Il primo passo è la completa conoscenza dei sistemi esistenti e del loro utilizzo e gestione. Poi occorre suddividere i sistemi tra quelli mission critical – che gestiscono tanti clienti e fatturato o sono comunque rilevanti per l’azienda – e quelli che non lo sono”, risponde Dimitri. “Dopo aver acquisito il controllo, si possono progettare le azioni di semplificazione e si può capire come gestire la complessità. Ed è quello che sto facendo adesso”.
Ci vorranno anni per raggiungere l’obiettivo, sottolinea il manager, perché l’operatività va comunque sempre garantita.
“La continuità per noi è la prima cosa, non possiamo fermarci per fare la migrazione dei sistemi. La trasformazione digitale è una trasformazione culturale di un’azienda intera”.
Molti CIO procedono secondo questo schema: snellire e eliminare le duplicazioni, ma con gradualità, seguendo le priorità e guardando ai costi.
Alcune aziende cercano di svolgere prima la due diligence delle società da acquisire includendo l’inventario IT e compilando un playbook con le tempistiche per portare la nuova controllata sui sistemi comuni, prevedendo l’accompagnamento della formazione. Questo vale soprattutto per i sistemi core da cui dipendono strettamente l’operatività e la sicurezza (per esempio, la data platform), mentre i sistemi non strategici si unificano solo se la valutazione del rapporto costi-benefici è convincente. Anche qui, dunque, se la bilancia pende verso i costi, si rimanda.
Sette strategie per ridurre la complessità dell’IT
Secondo Martini, ci sono alcune strategie chiave per ridurre la complessità dell’IT.
“Comincerei da standardizzazione e razionalizzazione: ovvero, eliminare le sovrapposizioni, consolidare i tool e ridurre la frammentazione”, afferma la CIO.
Un altro elemento importante è fare “automazione intelligente”, cioè rivolta alle attività ripetitive (come provisioning e monitoraggio negli uffici legale e acquisti).
“Le persone non sono entusiaste di svolgere questi compiti privi di valore, noiosi, poco gratificanti. Qui sono intervenuta col mio team implementando soluzioni di intelligenza artificiale. Anche questo aiuta a snellire le attività e rende le persone più felici”, evidenzia Martini.
Un terzo suggerimento è puntare su cloud governance e hybrid management: usare strumenti che centralizzano il controllo e la visibilità su ambienti multicloud. Martini, infatti, concorda con chi afferma che il cloud introduce maggiore complessità di servizi, progetti e contratti (oltre che costi maggiori, puntualizza la CIO).
Un ulteriore suggerimento è di adottare un’architettura modulare e API-first: i sistemi componibili facilitano l’integrazione e l’evoluzione.
E poi, misurare il valore dell’IT con KPI e metriche legate all’efficienza, alla resilienza e alla creazione del valore.
Non meno importante è rendere l’IT un partner strategico del business, favorendo lacollaborazione tra le diverse aree, adottando metodologie agili e DevOps.
“Noi ogni mese teniamo quello che abbiamo chiamato lo Sharing Friday, una mezza giornata in cui raccontiamo le novità dell’azienda a tutto il personale, presente in sede o in collegamento online”, riferisce Martini. “La condivisione è fondamentale. Quando sono entrata in BFM mi sono presentata non come un informatico, ma come un partner che aiuta a risolvere problemi. Ho la certificazione agile e applico questo metodo a tutto campo, perché lo trovo risolutivo in tante aree: i progetti si svolgono in modo più veloce e gestisco il mio team – 14 persone – assegnando degli obiettivi, lasciando piena flessibilità di lavorare nella modalità preferita. Questo ha fermato il turnover e va in direzione della semplificazione”.
Anche la NIS2 e le tante leggi sul digitale hanno portato cambiamenti e complessità. “In questo ambito trovo che ci siano tanti prodotti italiani, spesso poco conosciuti ma ottimi, che aiutano i leader IT nella gestione”, indica Martini. “Penso che i CIO dovrebbero cercare di più tra l’offerta locale, mostrando curiosità. Io cerco di partecipare ad associazioni ed eventi di settore, perché nell’ecosistema si raccolgono più informazioni e si conoscono altri manager, con cui condividere esperienze, e molti vendor”.
Metodologia, cultura e… esperienza
Quando è entrata in BFM Consulting, Martini ha trovato una situazione di complessità dell’IT. Oggi è riuscita nello snellimento ma, sottolinea la CIO, ci sono voluti tre anni e mezzo. I tempi non sono veloci perché – al di là delle buone pratiche e delle tecnologie che aiutano – c’è molto change management da fare, come accade sempre nella trasformazione digitale.
“Bisogna far comprendere alle persone e al management la necessità di cambiare i processi, far capire che l’IT non è semplicemente uno strumento utile, ma è anche una funzione strategica”, dichiara Martini. “Si parla molto di trasformazione digitale, ma metterla in atto è un’altra cosa. In passato non ho sempre trovato l’appoggio dei vertici, ma il CEO di BMF Consulting è stato fin da subito allineato con me e questo ha facilitato il mio compito”.
Massara di Contarina è sulla stessa lunghezza d’onda: “Serve un cambio di mentalità a livello di board, direzioni e responsabili di funzione. E serve applicare framework consolidati, come, ad esempio, ITIL”, rileva il CIO. “Metodologia e cultura sono le mie parole chiave per gestire la complessità”.
Anche gli strumenti tecnologici, come orchestratori e piattaforme di gestione IT, possono venire in aiuto del CIO, ma da soli non bastano.
“Se non ci sono una struttura organizzativa efficace e un mindset orientato alla collaborazione, anche gli strumenti più avanzati restano sottoutilizzati”, osserva Massara.
In questo scenario complesso e dinamico, il ruolo del CIO si conferma come strategico e trasversale. Questo manager deve guidare la governance, rappresentare la complessità IT e organizzativa al board e facilitare l’adozione delle nuove metodologie. Spesso è necessario ricorrere al supporto di consulenti esterni, che portano competenze aggiornate e visione neutrale.
“I consulenti sono preziosi: offrono una visione oggettiva e aiutano a introdurre nuovi approcci. Sono fondamentali per tenere il passo con il cambiamento”, secondo Massara.
E poi, come sempre, i CIO possono fare appello alle loro skill e alla loro esperienza. Sanno che ridurre la complessità dell’IT costa ma è necessario, perché più si aspetta più le applicazioni diventano obsolete e aumenta il lavoro per l’IT, mentre l’azienda non riesce più a innovare. A quel punto il CIO sa cogliere l’occasione per presentare al CEO l’urgenza dell’investimento: un prodotto che non sarà più aggiornato o supportato dal fornitore pone gravi problemi di sicurezza, e questo è sempre un argomento convincente che supera ogni resistenza.